Componenti passivi: Le resistenze
Dicembre 8, 2020Se osserviamo una scheda o un circuito di qualsiasi dispositivo elettronico, noteremo che tra i componenti, le resistenze sono onnipresenti. Cosa sono? Qual è il loro scopo? Perché le usiamo? In questa lezione cercheremo di rispondere a queste ed altre domande in maniera semplice e comprensibile, con esempi e analogie, per introdurre il neofita nel percorso di comprensione e progettazione dei circuiti.
Cos’è una resistenza?
In breve, una resistenza “è un cattivo conduttore di corrente”, ma è pur sempre un conduttore. A differenza degli isolanti elettrici, la resistenza si oppone al passaggio di corrente, ma non la ostacola del tutto. In natura esistono molti tipi di materiali in grado di condurre l’elettricità, con proprietà molto diverse tra loro: i metalli ad esempio, sono generalmente buoni conduttori, ma anche liquidi e gas, se “ionizzati” sono capaci di permettere il passaggio di cariche elettriche. In teoria “tutti i materiali sono conduttori di elettricità”, solo che alcuni sono “ottimi conduttori” (elevata conducibilità e resistività molto bassa, quasi trascurabile), altri lo sono di meno e possono essere utilizzati come resistenze, mentre altri ancora hanno una resistività molto elevata e di conseguenza, una conducibilità del tutto trascurabile e quindi rientrano nella categoria degli isolanti.
Ogni materiale ha una resistività (e relativa conducibilità) elettrica, che dipende dalla capacità degli elettroni (quindi a livello atomico) di potersi muovere liberamente: negli isolanti, la struttura atomica è tale che il nucleo trattiene a sé gli elettroni e no ne permette lo spostamento.
I resistori (o le resistenze) dunque possono essere costruiti su una vasta varietà di materiali, ma quelli più usati all’interno dei circuiti elettrici, sono formati da miscele a base di grafite, realizzate sotto forma di “film” e avvolti per formare uno specifico valore di resistenza, dosando appunto il valore della resistività dei singoli materiali.
Quando un materiale viene posto ad una differenza di potenziale (misurata in Volt), le cariche elettriche scorrono al suo interno dal punto di potenziale maggiore in direzione del punto di potenziale minore, sfruttando gli “elettroni liberi” presenti nella struttura atomica. Maggiore quindi è la quantità di elettroni liberi, minore è la resistività del materiale. Il movimento delle cariche viene detta anche corrente (o intensità di corrente) e si misura in Ampere.
Come già spiegato nelle precedenti lezioni, la resistenza elettrica si misura in ohm (simbolo Ω
) e il valore è quasi sempre stampato sull’involucro dei componenti, in diverse forme, spesso come anelli colorati da decodificare (vedi tabella in basso), ma anche con sequenze numeriche. I multipli generalmente usati sono il Kiloohm (KΩ) e il Megaohm (MΩ). Il sottomultiplo è generalmente il milliohm (mΩ), raramente vengono utilizzati i termini deciohm (dΩ) e centiohm (cΩ).
Le resistenze si possono anche sommare tra di loro, collegandole “in serie”, ovvero, mettendo in comune, con la resistenza adiacente, solo uno dei due terminali:
R tot. = R1 + R2 + R3
Diversamente, invece, collegandole “in parallelo”, ovvero mettendo in comune entrambi i terminali con la resistenza adiacente, il valore di resistenza equivalente si riduce ed è quindi sempre inferiore al valore della resistenza di valore più basso.
E’ possibile calcolare il valore di resistenza equivalente di più resistenze collegate in parallelo con la seguente formula:
R eq. = 1 / ((1 / R1) + (1 / R2) + (1 / R3))
Esiste anche un formula più semplice per calcolare la resistenza equivalente di due resistenze (quindi solo due!) collegate in parallelo:
R eq. = (R1 * R2) / (R1 + R2)
Qual è il loro scopo?
Se le resistenze non sono buoni conduttori di corrente, allora perché utilizzarle? Questa è forse la domanda più comune che un neofita si pone quando inizia a comprenderne la natura. Ma è proprio per le loro caratteristiche che le resistenze sono largamente usate all’interno dei circuiti elettrici.
Partitore di tensione. Imparando la Legge di Ohm, abbiamo appreso che ai capi di una resistenza elettrica percorsa da corrente, vi è sempre una caduta di tensione (V = R * I
) il cui valore è dato dalla corrente I
che scorre al suo interno e dal valore stesso della resistenza R
. Da ciò si ricava che uno dei principali scopi delle resistenze è quello di “fissare le tensioni”, cioè far sì che ad un altro componente, collegato in serie, si ponga ai suoi capi una tensione stabilita e calcolata accuratamente.
Supponiamo di avere un circuito alimentato a 12 V e che un determinato componente del circuito (tra altre decine di componenti) deve funzionare con una tensione di 3 V. Conoscendo il valore della corrente che scorre al suo interno, ad esempio di 10 mA, saremo in grado di calcolare il valore della resistenza che dovrà essere inserita “in serie” al componente per “fissare” la tensione a 3V, quindi, con una “caduta” ai suoi capi di 8V (12 - 3 = 8 V
), utilizzando la seguente formula:
8 V = R * 0,010 A
R = 8 / 0,010 = 800 Ω
In un partitore di tensione, la somma delle tensioni ai capi delle resistenze collegate in serie equivale alla tensione ai capi del partitore stesso:
Nell’esempio riportato nell’immagine precedente, se R1 e R2 sono di uguale valore, la tensione nel punto centrale è sempre la metà della tensione ai capi del partitore, ma applicando un carico su V1 o su V2, il partitore risulterà sbilanciato ed il valore della tensione varierà di conseguenza.
Partitore di corrente. Collegando le resistenze” in parallelo”, invece, formeremo un partitore di corrente. In questo caso, la tensione ai capi di ogni resistenza è sempre la stessa, a variare, invece, è la corrente secondo la formula della Legge di Ohm: I = V / R
, dove la somma delle correnti che attraversano ogni singola resistenza, equivale alla corrente totale dell’intero partitore.
Filtri con le resistenze
Un altro utilizzo delle resistenze è quello di essere impiegate insieme a Condensatori e Induttanze (argomenti che tratteremo più avanti in questo corso) per realizzare filtri per segnali a frequenza ed ampiezza variabile, (quindi in un regime diverso della corrente continua). Il compito delle resistenze in queste tipologie di circuiti è quello di regolare il tempo di carica o di scarica dei condensatori o delle induttanze.
Calore e Potenza
Una delle caratteristiche tipiche delle resistenze elettriche è che, quando sono sottoposte ad una differenza di potenziale, lo scorrere della corrente al loro interno genera calore, conseguenza di un fenomeno che in fisica si definisce con il nome di “Effetto Joule”, ovvero: causa della potenza P
dissipata da un conduttore (in questo caso la resistenza) al passaggio della corrente elettrica. Essa si misura in WATT
(si indica semplicemente con il simbolo W
) e si calcola con le seguenti formule:
P = V * I
P = V2 / R
E’ importante, nella fase di progettazione di un circuito elettrico, dimensionare le resistenze in base alla potenza che andrà dissipata: in commercio esistono resistenze di frazioni del WATT (1/4, 1/2) oppure da 1 WATT o superiori fino a diverse decine o centinaia di WATT.
Anche un filamento metallico è una “resistenza elettrica” che, percorsa da corrente di adeguata intensità, genera calore e dissipa potenza.
NOTA: Sui “filamenti che si riscaldano e/o emettono luce (stufe, lampadine a incandescenza, ecc…)” una cosiderazione è doverosa: Alcuni materiali (tungsteno, nichel-cromo, ecc…) hanno un comportamento “non lineare” al variare della corrente, per effetto del calore prodotto, che incide sulla capacità degli elettroni di muoversi liberamente, ciò si traduce nel fatto che la resistenza del conduttore, varia in modo più significatico rispetto ad altri materiali, al variare della corrente che lo attraversa.
Resistenze variabili (o potenziometri)
Alzare o abbassare il volume di una radio, variare la luminosità di un diodo Led o regolare la potenza emessa da un impianto hi-fi, sono operazioni che si possono svolgere utilizzando particolari tipi di resistenze che consentono di modificare il loro valore, semplicemente facendo scorrere da un lato all’altro, con l’uso di una manopola, un cursore presente al loro interno. Comunemente si definiscono potenziometri e oltre a far variare il valore della resistenza, sono dei veri e propri “partitori di tensione”, infatti, a differenza delle normali resistenze, sono dotati di 3 terminali invece di 2. In genere il valore minimo è sempre di 0 (zero) Ohm (condizione di bypass), mentre il valore massimo in Ohm dipende dal modello. In commercio esistono molte varietà di potenziometri: lineari o logaritmici, circolari o in linea, da pochi KΩ fino al valore di qualche MΩ.
Conclusione
In questa lezione abbiamo conosciuto un po’ più da vicino uno dei principali “componenti passivi” utilizzati in elettronica, illustrando alcune delle caratteristiche più importanti, tra cui il comportamento all’interno dei circuiti e la loro flessibilità ad essere impiegati come partitori di tensione e di corrente. Aggiungo che le resistenze nei circuiti elettrici o elettronici, hanno anche altre tipologie di applicazione, ma ho preferito non trattarle in questa lezione, per non anticipare argomenti che in questa fase, sarebbe prematuro affrontare. Nelle prossime lezioni, conosceremo più da vicino anche altri componenti con l’obiettivo di fornire all’appassionato di elettronica le nozioni basilari.
Aniello Di Nardo (classe 1972), perito elettrotecnico, programmatore di software e radioamatore (IU8NQI)
Argomento trattato benissimo e nello stesso tempo semplice comprensibile a tutti coloro che si avvicinano al mondo dell’elettronica .Un saluto dal P.to in telecomunicazioni Antonio Cozza.